Storie di Abbandoni: La Casa del Preside, o dell’Ufficiale

da | 5 Dicembre 2020 | Vecchie Case Abbandonate, Antiche Ville Abbandonate | 1 commento

Era un giorno d’estate piuttosto afoso, uno di quei giorni in cui zanzare e insetti ti si appiccicano addosso e i rovi graffiano anche l’anima. Avevamo alcuni posti da verificare, avvistati tempo prima. Una giornata che si preannunciava sfortunata: la prima verifica ci aveva condotti davanti alla facciata di una vecchia villa abbandonata, che dall’esterno prometteva tantissimo, aveva tutte quelle caratteristiche decadenti che noi sempre andiamo cercando: un grande giardino ormai inghiottito dalla vegetazione, le tapparelle logore e in bilico che sembravano staccarsi dai cardini e cadere a terra da un momento all’altro, ma all’interno si era rivelata completamente spoglia, deprivata di qualsiasi cosa, non rimaneva neanche un mobile, una foto, un vecchio giornale, un affresco, niente di niente. Così, delusi dalle molte aspettative, ci dirigemmo altrove, avevamo altri due luoghi da verificare ma, colpevole anche il caldo afoso, avvertivamo già segni di stanchezza.

Il secondo luogo sapevamo non sarebbe stato di facile accesso, avevamo già fatto un tentativo durante l’inverno ma decidemmo di rinunciare a causa del buio e di un simpatico felino che saltò fuori all’improvviso mentre esploravamo le cantine di quella enorme villa parzialmente diroccata, nel buio più pesto, con la sola luce dei telefonini a illuminarci il cammino. Inevitabile lo spavento e la nostra rapidissima fuga: reduci di un paio di precedenti disavventure, associamo ormai ai gatti la presenza di esseri umani.. nello specifico, di occupanti abusivi. Così decidemmo di tornare in un momento successivo, col favore della luce del giorno. Non eravamo adeguatamente equipaggiati per un’esplorazione in notturna.

Non avevamo neanche considerato che, in piena estate, la vegetazione già molto fitta in inverno, sarebbe cresciuta a dismisura, trasformando l’area circostante la villa in un’enorme distesa di rovi alti almeno un metro, e di piante urticanti di ogni tipo. L’accesso lo si poteva raggiungere solo attraversando un fitto canneto di bambù. Una fatica immane, per poi scoprire che anche quella location non nascondeva nulla di fotograficamente interessante, se non qualche vecchia bottiglia di vino impolverata. Ne uscimmo fuori distrutti, con le gambe completamente ferite dai rovi e ricoperte di graffi e di bolle dovute alle ortiche. Il morale era a terra, ma eravamo ben consapevoli che a volte la sconfitta fa parte del gioco. La maggior parte delle volte non sono rose e fiori, ma ortiche e rovi.

Avevamo ancora un posto segnato in mappa, un’ultima verifica da effettuare. Ormai sull’orlo della rassegnazione decidemmo di fare un tentativo, sperando che la meta non si sarebbe rivelata un’altra fatica di Ercole. Giunti sul posto ci rendemmo conto che c’era una lunga strada da percorrere a piedi, in salita, sotto il sole, su una strada dissestata e senza un filo d’ombra. Procedemmo a stento, col sudore sulla fronte e un sole cuocente sulle nostre teste, ormai sciami di insetti banchettavano sulla nostra pelle. Giunti quasi a metà percorso cominciammo a scorgere in lontananza un raggruppamento di casolari piuttosto malmessi e visibilmente in stato di rovina. Esitammo un po’, pensando che forse non era il caso di proseguire: un paio di casolari marci e vuoti non sarebbero valsi tutta quella fatica. In realtà qualcosa non convinceva, non sembrava essere quello il posto avvistato tempo prima, decisi dunque di controllare la mappa e scoprii che sbadatamente avevamo percorso una strada diversa, i ruderi che scorgevamo in lontananza non avevano nulla a che fare col luogo che stavamo cercando. Il nostro spot si trovava oltre un raggruppamento di alberi che lo occultavano alla vista, quasi come a volerlo nascondere da sguardi indiscreti. Sollevati dalla notizia, la lampadina della nostra curiosità divenne incandescente, decidemmo così di proseguire.

Piano piano raggiungemmo la collinetta superando gli alberi per poi ritrovarci davanti a un caratteristico caseggiato in mezzo alla campagna. Una tipica dimora contadina. Esitammo un po’ prima di avvicinarci. Una parte del caseggiato sembrava essere stata ristrutturata in tempi abbastanza recenti, l’intonaco esterno e l’imbiancatura si conservavano piuttosto bene, tanto da sembrare ancora abitata. Ma solo apparentemente. All’inizio ci sembrò plausibile la sensazione che qualcuno potesse uscire fuori da un momento all’altro, l’impressione era quella che avessero lasciato la porta aperta per far entrare aria. Il complesso era chiaramente diviso in due nuclei abitativi: la parte più imponente e interessante, non aveva subito alcuna ristrutturazione e aveva un fascino molto decadente. Restammo nascosti dietro agli alberi per un po’, il tempo di mettere a fuoco la situazione e riprendere fiato dopo tutta quella salita. A quel punto decidemmo di dare un’occhiata più da vicino per poi scoprire che in realtà le cose non erano affatto come sembravano: c’era molta roba gettata fuori dalla porta, rifiuti, scarpe, componenti di mobilio e il giardino circostante appariva visibilmente in stato di incuria, l’erba era alta e i rampicanti avvolgevano le mura e le finestre. Nessun nome sul campanello, nessun segno di trascorsi recenti. Era tutto incredibilmente abbandonato.

Visitammo prima la parte più nuova dell’edificio, all’interno molti oggetti ammucchiati quasi come in attesa di essere portati via, forse un trasloco mai ultimato. All’ingresso un bel caminetto tipico di quelle casette rurali. Molti ancora i mobili e i suppellettili, stoviglie, giocattoli, fotografie, abiti appesi negli armadi, cartoline. Nella stanza da letto al piano di sopra una piccola libreria ancora intatta con delle enciclopedie, giocattoli sparsi sul letto, un quotidiano. L’abbandono sembrava abbastanza recente, forse risalente alla fine degli anni ’90 o ai primi anni duemila. Una piccola abitazione distribuita su due piani, abbastanza anonima nel complesso: la classica casa contadina. Dopo una rapida occhiata uscimmo fuori per dirigerci verso l’altra parte del caseggiato, dall’aspetto molto più vecchio e logoro, direi quasi lugubre.

Girammo intorno all’edificio per scoprire che tutto era clamorosamente aperto, sia il portone della cantina che quello principale, quest’ultimo lasciato appena accostato. Spinsi l’anta con la mano e il braccio proteso in avanti e quello che vidi varcando la soglia mi fece sobbalzare… una stanza piena di quadri e oggetti antichi che era uno spettacolo per gli occhi! Riconobbi immediatamente la scena, ricordavo di aver già visto l’immagine di quella stanza in alcune foto pubblicate da qualche esploratore e capii immediatamente di che posto si trattava. La fatica di una giornata di fallimenti ed esplorazioni inconcludenti era stata generosamente ripagata.

Ogni volta che varchiamo la soglia di un luogo come questo, osserviamo le immagini nei quadri, i ritratti, i preziosi ricordi di antiche comunioni, i libri impolverati. Tra uno scatto e l’altro ci perdiamo fra i mille ricordi e le mille memorie, viaggiando con la fantasia. Torniamo a tempi antichi. Le numerose immagini religiose, i crocefissi, sempre denotano la profonda devozione di un tempo. L’atmosfera tipicamente decay, l’odore stantio di muffa delle tappezzerie, la coltre di polvere che riveste ogni cosa, i mobili sbilenchi, smangiucchiati dai tarli e dai roditori, le spesse trame di ragnatele, l’intonaco che si sgretola e cade dai muri, quell’odore acre degli ambienti invasi dai topi, le stanze crollate o in procinto di farlo. Quei surreali e sottilissimi giochi di equilibrio che certe stanze regalano, vittime di falle e cedimenti strutturali, dove i mobili restano in piedi per miracolo, in equilibrio sopra brevi porzioni di pavimento che hanno resistito al crollo o precariamente sorretti da incastri di travi e mattoni. Oppure, come in questo caso, il tavolo da pranzo, precipitato giù dal piano superiore e rimasto in equilibrio sopra l’abitacolo di una vecchia vettura, una Fiat 125 blu cobalto, parcheggiata nelle cantine, la quale resiste, perfettamente intatta e unica superstite, sotto una voragine di macerie. Questi caduchi equilibri hanno qualcosa di talmente inafferrabile che si fatica ad accettarne la forza di gravità come unica spiegazione possibile. Rappresentano esattamente ciò che noi fotografi dell’urbex ossessivamente ricerchiamo.

Curiosando tra i vari documenti dimenticati sopra i mobili e ricoperti di polvere, sulla scrivania e sul comò, rinvenimmo lettere, cartoline, testimonianze, diplomi e addirittura un passaporto con l’intestazione del Regno d’Italia, onorificenze militari e dei tesserini statali. Non impiegammo molto a ricostruire frammenti di storia della persona che la abitò.

Scoprimmo così di aver varcato la soglia di quella che era stata la dimora di un preside ormai in pensione, nato nel 1912, che fu ufficiale del Regio Esercito durante la sua gioventù. Nel corso dei suoi anni di arruolamento, tra congedi e richiami alla leva e al servizio militare, si guadagnò il titolo di Ufficiale, di Tenente e poi di Capitano, si laureò in scienze agrarie e prese parte alle operazioni di guerra in territorio francese durante la Seconda Guerra Mondiale, al termine delle quali venne inviato in Sicilia dove subì due anni di prigionia. Il congedo definitivo arrivò agli inizi degli anni ’50 a seguito del quale si dedicò all’insegnamento presso alcune università. Nei primi anni ’80 gli venne conferita l’onorificenza di Commendatore dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Per approfondimenti sulla storia del luogo puoi consultare l’accurato articolo e galleria fotografica di Massimiliano Martino che trovi al seguente link. Ringraziamo lo staff di xXx Urbex Intruders per il prezioso contributo e la disponibilità.

Passammo davanti a una stanza che ormai era divenuta una voragine, il lampadario, o ciò che di esso sopravviveva, oscillava nel vuoto, lenti rintocchi silenziosi ripartivano i momenti della nostra permanenza lì dentro, accompagnavano i minuti. Sullo sfondo, c’era ancora la tendina appesa a una finestra e un vecchio crocefisso. La scena aveva qualcosa di surreale, di inverosimile, la dimensione spazio-temporale sembrava distorcersi. Fuori il mondo non esisteva più, era solo un’eco, un ricordo lontano, un’impercettibile vibrazione. Se non scorgessimo ogni volta un ripetuto tentennamento, un rumore insistente anche se attenuato, un movimento oscillatorio a ricordarci del tempo, che sia una foglia che vortica su una corrente d’aria, una tenda che ondeggia, una finestra che sbatte, non avremmo più alcuna percezione del tempo, né del mondo fuori. Chi sa porsi in ascolto può sorprendersi di quanta vita ci sia ancora in posti come questo.

Ogni volta ci stupisce la fragilità di questi luoghi, ci regala emozioni che non sappiamo descrivere, vorremmo salvarli, ma non ne abbiamo il potere.

Uscimmo fuori da quella capsula del tempo, mentre la sera ci veniva incontro, abbracciandoci. La luce cominciava a farsi dorata, poi sempre più scura. Decidemmo di ridiscendere e tornare verso le auto. Ormai camminavamo a un metro da terra, le gambe erano stanche e ferite ma non percepivamo più alcun senso di fatica.

“Nella cupa notte, vola un fantasma iridescente, s’alza e spiega l’ale sulla nera e infinita umanità. Tutto il mondo l’invoca e tutto il mondo l’implora. Ma il fantasma svanisce coll’aurora, per rinascere nel cuore. Ed ogni notte nasce ed ogni giorno muore.”


Giacomo Puccini

Galleria di Simone

Esploratore. Fotografo. Viaggiatore del tempo.

Tap per ingrandire e swipe per scorrere le immagini. Sul PC utilizza la rotellina del mouse o le frecce della tastiera. Le foto e le riprese sono state effettuate in giorni diversi durante un vasto lasso di tempo. Per questo motivo la disposizione degli oggetti può apparire alterata tra una foto e l’altra.

Galleria di Alex

Esploratore. Fotografo. Viaggiatore del tempo.

Sotto la Polvere nasce dall’amore e la passione per i luoghi dismessi e abbandonati. Le esplorazioni sono realizzate nel rispetto più assoluto del luogo visitato, senza alcuna forma di effrazione o danneggiamento. Spesso li troviamo per caso o ci vengono suggeriti. Non indichiamo mai il nome reale del luogo e la sua ubicazione per salvaguardarlo da vandali e potenziali malintenzionati.

Guarda il video.

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1 commento

  1. MASSIMILIANO MARTINO

    Lo staff di xXx Urbex Intruders, vi ringrazia per il credit… Ottimo lavoro come sempre!

    Rispondi

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